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BOTTICELLI 
 
Alessandro Filipepi, noto come Sandro Botticelli, nacque nel 1445 a Firenze, nella parrocchia di Santa Maria Novella, da Mariano, conciatore di pelli, e da Smeralda. Ultimo di quattro figli, nel 1458 è messo a bottega presso un orafo (professione che gli procurerà il soprannome “Botticelli”, probabilmente derivante da battiloro); nel 1464 passerà alla bottega di Filippo Lippi a Prato, nel 1467 sarà allievo del Verrocchio dove anche Leonardo sta compiendo il suo apprendistato, poi dei due fratelli Antonio e Piero del Pollaiolo, e nel 1469 risulta avere già una bottega in proprio. Selezionando le componenti del linguaggio figurativo dei suoi maestri, egli elaborerà uno stile personale, basato sul valore costruttivo della linea e sull’amore per i dettagli preziosi. Il suo linguaggio colto, ma al tempo stesso piacevole e raffinato, rispose al gusto della società fiorentina e alla corte medicea, diventando così. portavoce in pittura delle teorie neoplatoniche espresse dalle menti più brillanti dell’epoca. Anche il papa apprezzerà le sue capacità di tradurre in immagini le storie, tanto da affidargli l’incarico di eseguire alcuni affreschi per la Cappella Sistina.  
L’equilibrio armonico che permise il costituirsi del clima di fine Quattrocento a Firenze, s’incrinò con le prediche del domenicano Gerolamo Savonarola, e l’animo sensibile del Botticelli ne risentì al punto, da non poter più dipingere come aveva fatto in precedenza. La sua pittura cambia, diventa tormentata come la sua anima fino al giorno della sua morte, avvenuta nel 1510. Morirà in povertà e sarà dimenticato presto da tutti. 
La ricerca del bello come valore in sé, prodotto dall’arte, pone Botticelli su un piano diverso rispetto Leonardo, Michelangelo, Raffaello, suoi contemporanei, che consideravano l’arte come una forma d’indagine e di conoscenza della natura e della storia. Egli in questo apparteneva al Quattrocento, perché mirava nella sua pittura ad una filosofia che unisse all’arte sia pensiero che poesia, e l’annullamento della profondità dello spazio con il moltiplicarsi delle cadenze ritmiche (a somiglianza delle parole in poesia), condussero l’artista verso la dissoluzione della forma plastica e dello spazio prospettico a favore della linea e della bidimensionalità. Le sue opere sono intrise di allusioni simboliche e allegoriche quattrocentesche, con straordinarie qualità cromatiche e figure di estrema eleganza.  
Tra i suoi capolavori vi è la Primavera, conservata a Firenze agli Uffizi, del 1482 ca.; qui il profondo virtuosismo intellettuale di Botticelli mette in moto un processo di allegorizzazione delle immagini che ha bisogno di ricorrere continuamente all’uso di codici simbolici, sia per quanto riguarda i gesti, sia per il rinvio a significati celati di alcuni attributi secondari dell’immagine e per questo il dipinto, si presta ad accogliere le più diverse ipotesi interpretative. Il Committente fu probabilmente Lorenzo il Magnifico. 
Il dipinto Nascita di Venere del 1482-3 (Firenze Uffizi), era con la Primavera nella Villa di Castello dei Medici. L’episodio tratto dalle Stanze di Poliziano, descrive Venere appena nata dalla spuma del mare mentre viene trasportata sull’isola di Citèra “sovra un nicchio”; vi è qui poi ad accoglierla è un’Ora primaverile, con la veste bianca trapuntata di margherite, che le porge un manto per coprire la sua nudità, protetta da una mano sul pube e dall’altra su un seno.  
In Venere e Marte del 1483, oggi al National Gallery di Londra,  come in tutti i lavori di questo pittore, le forme sono individuate non tanto dal colore quanto invece dai corsi e ricorsi della linea, che tendono a rendere la materia sottile e a darle la sostanza della luce, ed è una luce particolare, che rende le figure diafane, spirituali, leggere e fluttuanti. Sono molte le fonti letterarie che potrebbero aver ispirato il dipinto di Marte e Venere, fra cui: Marsilio Ficino, Poliziano, Pulci o anche Lorenzo il Magnifico. Vi è poi un sarcofago romano con Bacco e Arianna che presenta lo stesso schema dei due corpi, l’uno nudo e l’altro vestito, sdraiati uno di fronte l’altro. La presenza delle vespe vicino al tronco suggerisce un riferimento alla famiglia Vespucci, probabile committente del quadro.  
 
Curiosità: in gioventù aprì una taverna chiamata le “Tre rane” con altri due soci, uno era niente meno che Leonardo, il quale inventò una bibita che riscosse gran successo in quei tempi.