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PARMIGIANINO E GLI ESPERIMENTI ALCHEMICI 
 
L'opera pittorica del manierista Francesco Mazzola detto il Parmigianino (1503-1540), ha contenuti fortemente simbolici e nella maggior parte, non si potrebbe comprendere senza una lettura in chiave alchemica. Per lui la bellezza fu un valore assoluto che lo fece avvicinare al mondo alchemico quasi con ossessione come ci dice Vasari nelle sue "Vite". Per rendere i suoi colori più perfetti, si mise anche in contatto con i materiali più pericolosi come il mercurio e le poveri velenose come il cinabro minerale, cosa che gli causerà un precoce invecchiamento e una morte in giovane età.  
Bambino prodigio, Francesco proveniva da una famiglia di pittori. Restò orfano presto del padre e furono gli zii ad allevarlo; sempre loro lo portarono giovanissimo a Roma nella corte papale clementina (di papa Clemente VIII) dove venne acclamato come il nuovo Raffaello. Le sue più grandi creazioni artistiche non furono però compiute nella città eterna, ma attorno alla zona di Parma dove nacque e per una committenza perlopiù privata.  
Il suo capolavoro di gioventù lo eseguì per Gian Galeazzo Sanvitale a Fontannellato (Parma), si tratta di un ciclo di affreschi raffiguranti il mito di "Diana e Atteone" che il nobile gli commissionò per la stanza privata della moglie Paola Gonzaga. Secondo Maurizio Fagiolo la complessa simbologia dell'insieme decorativo delle "Storie di Diana" del Parmigianino, deve essere interpretato come metafora del processo alchemico, più precisamente nel momento di congiunzione tra il principio maschile con quello femminile. Nel Rinascimento il mito di Atteone divenne archetipo dell'uomo eroico disposto a trasformarsi da caccatore in preda pur di penetrare nella divinità Diana (la trasformazione di qualcosa in un'altra è alla base dei principi alchemici). Penetrare in una divinità fu un pensiero dominante nel secolo XVI, in quanto ciò era visto come un annullare le differenze e poter così comprendere tutti i misteri del reale. Dono di un uomo a una donna, il ciclo di Fontannelato può così essere letto come una sorta di mistica dell'amore, intrisa di religiosità da leggere in chiave alchemica. Ma a nutrire il mito di Parmigianino alchimista, fu soprattutto la sua impresa in Santa Maria della Steccata a Parma. Egli era così ormai preso dai procedimenti della scienza esoterica da volerli dipingere sulla volta della chiesa; gli elementi della natura (terra, aria acqua e fuoco) appaiono qui con gusto arcaico e le figure sono di una bellezza quasi sinistra. Come di frequente capiterà a questo pittore, molto presto entrerà in conflitto con i suoi commissionanti (in questo caso i fabbricieri) e così le opere alla Steccata non verranno portate a termine. Molti sono gli incompiuti del Parmigianino perché non sempre chi lo circondava riusciva a comprendere il suo genio, inoltre, tra tutti i pittori manieristi (vedi sezione: Rinascimento e Maniera), sarà quello con meno seguaci, anzi, non ebbe proprio, fatta eccezione di Amedeo Modigliani nel secolo XX. Sarà stata colpa del declino dell'alchimia che da lì a poco inizierà la sua discesa? Difficile dirlo con certezza, resta solo il fatto che né commissionanti e né gli artisti, lo amarono abbastanza per apprezzare il suo stile artistico, come capitò invece ai manieristi: Giulio Romano, Perin del Vaga, Pontormo e altri, i quali diffusero la maniera di dipingere di Raffaello in tutta Italia.  
(FAGR 4-9-12)  
Autoritratto del Parmigianino  
 
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