PITTURA OMNIA 
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BRONZINO AGNOLO 
 
Il 17 novembre del 1503 nacque a Monticelli, un sobborgo di Firenze, Agnolo Torri di Cosimo, detto Bronzino, noto anche come Agnolo Allori, dal nome della famiglia presso cui trascorse gli ultimi anni della sua vita, dal 1550 al 1572, anno della sua morte.  
Dopo un breve apprendistato presso Raffaellino del Garbo, tra il 1518 e il 1519, divenne maestro di Bronzino Jacopo Carucci detto Pontormo, che lo ritrasse ancora adolescente nella tavola Giuseppe in Egitto (1518-9, Londra, National Gallery). Di questo artista inquieto e misantropo, il giovane pittore divenne l’erede più brillante, l’intimo amico e confidente. Insieme i due lavorarono nelle ville medicee di Poggio a Caiano e di Carreggi, nonché nella Certosa del Galluzzzo e nella Cappella Capponi in Santa Felicita. Nel 1530-32 Bronzino si trovava al servizio dei duchi di Urbino (a fianco di Dosso Dossi), per il volere dei quali partecipa alla decorazione della Villa Imperiale di Pesaro: ma appena Pontormo richiese il suo aiuto per la villa medicea di Poggio a Caiano, l’artista rientrò subito a Firenze.  
Se Pontormo fu un uomo solitario, il suo allievo prediletto ebbe la capacità di farsi amare dai committenti al punto da diventare l’artista di corte di Cosimo I de’ Medici. Agnolo fu un grande ritrattista che incantò i signori di Firenze non solo con la sua pittura e i suoi modi, ma occupandosi anche di scenografie, allestimenti per cerimonie, arazzi, musica, e soprattutto letteratura. Nonostante fosse di umili origini fu un appassionato conoscitore degli autori trecenteschi e fu in prima persona un raffinato autore di sonetti in stile petrarchesco e di rime burlesche. Bronzino si colloca a pieno titolo tra gli artisti manieristi più rappresentativi del Cinquecento, e il suo stile è inoltre alla base del Manierismo internazionale di Praga.  
La sua ritrattistica propone una nuova impaginazione compositiva, ritrae personaggi a mezzo busto, ritagliati da contorni nitidi su sfondi monocromi o inseriti in architetture sontuose che sottolineano il loro prestigio sociale. Nella sua galleria figurano gli esponenti della dinastia ducale fiorentina, ma anche i volti di aristocratici e alto-borghesi che ruotavano intorno alla corte medicea. Bronzino li dipinse con carnagioni levigate, profili incisi come cammei, occhi limpidi come pietre dure, investendoli di luce cristallina ed evocando materie preziose.  
Nel ritratto a Lucrezia Panciatichi (1540 ca., Firenze, Uffizi), la donna, moglie di Bartolomeo Panciatichi, viene colta all’interno di un edificio, in netta opposizione con la ritrattistica maschile che descrive gli uomini spesso in spazi aperti, cortili o terrazze. Irrigidita sulla sedia, indossa una veste preziosa di cui Bronzino pare suggerire la morbidezza tattile, e la luce fredda che la illumina le conferisce un’impressione quasi spettrale che trasforma la sua pelle chiara in porcellana.  
Cosimo I armato (1545 ca., Firenze, Uffizi), viene dipinto in un cipiglio fiero mentre la sua corazza diffonde bagliori sinistri. La mano poggiata sull’elmo, in primo piano, introduce nella composizione un senso di spazialità.  
Giovannino de’Medici (1545, Firenze, Uffizi) colpisce per la naturalezza dell’espressione infantile. Il figlio di Cosimo I è destinato alla porpora cardinalizia e la sua veste sembra alludere alla sua futura carriera. Il bimbo tiene in mano un cardellino e appeso al collo ha una collana con del corallo.  
Andrea Doria (1540-50, Milano, Pinacoteca di Brera) è forse il ritratto più originale della produzione di Bronzino. Servendosi del personaggio di Nettuno, il pittore offre di questo grande ammiraglio rinascimentale un ritratto artificioso e celebrativo.  
L’attività di Bronzino comprende anche articolate composizioni allegoriche e delicate tavole devozionali: eppure se confrontata con i ritratti, questa produzione appare qualitativamente minore.  
Come rivela Allegoria del trionfo di Venere (1540-45, Londra, National Gallery), Bronzino amò giocare con allusioni ermetiche e contenuti che presuppongono una vasta cultura filosofica e letteraria, secondo una passione tipica del manierismo. Questo quadro è impensabile al di fuori degli svaghi raffinati di corte, in particolare di quella medicea. La bellissima tela, di cui i critici danno diverse interpretazioni, è frutto di una complessa elaborazione intellettuale, e il bacio tra Cupido e Venere è tra i più erotici della pittura italiana. Si pensa sia stata commissionata inizialmente per un arazzo, ma essendo piaciuta molto a Cosimo I, fu ordinato a Bronzino il dipinto che inseguito sarà donato a Francesco I in segno di amicizia.  
Le sue tavole devozionali risultano artificiose perché il suo stile freddo e quasi tagliente che rende i volti analitici e preziosi, poco si adatta ai soggetti sacri. Inoltre, rispetto a Pontormo, che testimonia una fase aggressiva e anticlassica del Manierismo, Bronzino rispettò la tradizione e dipinse i suoi personaggi come tratti dalla statuaria antica. Egli fuse nelle sue opere la plasticità di Michelangelo con un delicato lirismo manierista.  
Avendo numerose commissioni Agnolo dovette avvalersi di aiuti, tra i suoi allievi spicca la figura di Alessandro Allori (1535-1607), a cui egli fece da padre quando morì il suo amico Cristoforo Allori. Ad Alessandro Bronzino affidò per testamento la sua fiorente bottega e sarà lui, alla morte di Vasari, nel 1574, a divenire il pittore più in vista di Firenze, protetto dai Medici e direttore dell’Arazzeria di Stato.