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PARMIGIANINO 
 
L’11 gennaio 1503 nasce a Parma Francesco Mazzola detto, dal nome della città, Parmigianino. Figlio del pittore Filippo e orfano a due anni, Francesco viene affidato alle cure degli zii paterni, i pittori Michele e Pier Ilario Mazzola, che lo avviarono ben presto alla pratica della pittura. A soli diciassette anni Francesco riceve l’importante commissione di un ciclo d’affreschi nella stanza della nobildonna Paola Gonzaga, moglie di Gian Galeazzo Sanvitale (Rocca di Sanvitale, Fontanellato). Il giovane pittore porterà a termine gli affreschi dedicati alla vicenda mitologica di Diana, ispirandosi al medesimo ciclo dipinto dal Correggio, compiuto per la badessa del convento di San Paolo, Giovanna di Piacenza, a Parma. Parmigianino sembra qui voler percorrere la lezione del Correggio per riscrivere a suo modo i principi di quella pittura.   
Qualche anno dopo, nel 1522, l’artista lavorerà a fianco del Correggio nella decorazione del duomo di Parma, mantenendo una ostinata autonomia nei confronti del più anziano pittore, dal cui stile è comunque attratto. 
Le truppe dei Lanzichenecchi che devastarono e saccheggiarono Roma nel 1527, lo trovarono intento a lavorare “Visione di San Gerolamo”, un omaggio a Michelangelo (Londra, National Gallery), e come dice il Vasari, ne rimasero stupefatti tanto da lasciarlo continuare nel suo lavoro. Solo la seconda orda di soldati, ben più aggressiva, lo costringerà a fuggire frettolosamente dalla città. Il sogno di una commissione papale sfumerà così completamente per lui. Dal 1527, Parmigianino risiede alcuni anni a Bologna dove lavora soprattutto per una committenza privata. Le opere di questo periodo sono meno affollate di personaggi e i volti sono più devoti. Nel 1535 dipingerà la Madonna dal collo lungo (Firenze, Uffizi), la sua opera più nota. Fu commissionata da Elena Tagliaferro per la propria cappella in Santa Maria dei Servi a Parma, qualche anno prima della morte di Parmigianino. Qui il collo lungo della Madonna diventa il punto focale della rappresentazione, esso è secondo la religiosità medioevale, il simbolo della verginità.   
Fuggito dal carcere in cui era stato rinchiuso per l’inadempienza contrattuale con il convento della Steccata, l’artista ripara a Casalmaggiore, dove, il 4 aprile 1540, a soli 37 anni, muore e la sua salma sarà deposta nella chiesa dei Servi detta La Fontana, presso Casalmaggiore. Prima di morire scriverà a Giulio Romano, a cui era stato commissionato di realizzare gli affreschi per l’abside della chiesa della Steccata, per dissuaderlo ad accettare l’incarico. Secondo Vasari egli aveva trascurato quel lavoro perché ossessionato dall’alchimia, in realtà il pittore era stato messo in condizioni pessime dai fabbricieri della chiesa e dai continui ritardi della fornitura del materiale. Tuttavia i suoi studi di alchimia sono determinanti per comprendere  la sua arte.  I suoi magnifici volti di donne e uomini indagati nel loro intimo con acutezza, celavano spesso  il mondo dell’alchimia. 
Fra i ritratti muliebri emerge Antea (1535-37, Napoli, Gallerie Nazionali di Capodimonte), un’opera che propone la novità iconografica della rappresentazione in piedi della donna elegantemente abbigliata e adorna. Trattasi di una celebre cortigiana nota anche a Cellini e ad Aretino, la quale viene raffigurata con la perfezione del volto e lo sguardo intenso che la rendono astratta e lontana. 
Nel ritrarre Galeazzo Sanvitale (1524, Gallerie Nazionali di Capodimonte), l’artista lo rappresenta rivolto verso lo spettatore nell’ atto di mostrare una moneta sulla quale sono incisi due numeri che, secondo una lettura alchemica, sono un richiamo alla Luna e Giove, pianeti che si trovano al settimo e secondo “cerchio ermetico”, e che definiscono ulteriormente la personalità dell’effigiato. Galeazzo, committente degli affreschi di Fontanellato, è rappresentato con uno sguardo vivo e interlocutorio, in un interno aperto, su un ampio scorcio naturalistico che contribuisce a rendere il personaggio più vicino, senza l’aristocratico distacco di ritratti come l’Antea. Parmigianino fu un grande rappresentante del Manierismo e nella sua arte, la lezione di Raffaello e Michelangelo si fondono mirabilmente nelle sue ricerche alchemiche.